I cerealicoltori non festeggiano: rese basse e mercati incerti
Claudio Ferri
C’è un fattore climatico che si riverbera su quello geografico: le rese del frumento in Emilia Romagna tendono ad abbassarsi da Est ad Ovest. Epoca di semina e meteo hanno fatto il resto: chi ha seminato prima delle piogge ne ha beneficiato maggiormente rispetto a chi è andato in campo con terreni aridi. L’annata dei cereali a paglia non era iniziata bene e si temeva il peggio, ma a trebbiatura conclusa, nonostante una flessione produttiva non generalizzata, il risultato sembra essere andato oltre le aspettative. Paolo Pirani, presidente della coop Progeo di Reggio Emilia (che mediamente ritira 90 mila tonnellate di cereali), stima un calo generalizzato delle rese nei fumenti. “Anche l’orzo non ha garantito grandi performance, manca un 10% circa rispetto al 2019 – dice – anche se le superfici seminate sono aumentate notevolmente, e di conseguenza l’offerta è tanta”.
Il grano duro manifesta la stessa contrazione produttiva, con flessioni che si aggirano attorno al 10% “attribuibili – sospetta Pirani – a una carenza nella tecnica colturale. È andata meglio nel tenero che non ha subito cali drastici come il grano duro perché abbiamo rilevato punte produttive anche di oltre 75 quintali ad ettaro”. Sotto il profilo sanitario i produttori concordano che il prodotto è sano, ha un buon peso specifico, meno proteine, ma non ha contaminazioni né attacchi di ruggine, tantomeno micotossine e volpati. L’annata ha condizionato quindi il contenuto proteico, basso in generale in tutta la Penisola. Ora c’è l’incognita dei prezzi che, da sempre è influenzata da un mercato mondiale dei cereali.
A conclusione della raccolta nelle nazioni vocate, si potrà avere un quadro più preciso. “Anche se – ipotizza Pirani – nel mercato mondiale la produzione sembra, a tutt’oggi, nella normalità e di conseguenza si prospetta una stabilità dei prezzi. C’è tuttavia il vincolo di garantire una produzione nazionale, di cui molte aziende trasformatrici ne hanno la necessità, quindi se l’offerta è bassa sarà più contesa”.
La partenza non è stata ottimale ma alla fine il grano “si è dimostrato un gran soldato”. È una metafora usata da Antonio Dall’Amore presidente di Terremerse – cooperativa che opera prevalentemente in Romagna ritirando annualmente 90 mila tonnellate di cereali a paglia – che non prevedeva grandi risultati nei cereali. “Poi il mese di maggio ha risollevato la situazione – racconta – contribuendo a portare a termine il raccolto con sorprese positive rispetto alle aspettative non rosee. A Ravenna e Ferrara la produzione è stata discreta anche se inferiore allo scorso anno – precisa -, il prodotto è bello, il peso specifico è alto a fronte però di un calo nel contenuto proteico”.
Riguardo ai listini, Dall’Amore ritiene che in questa fase di assestamento i mercati potrebbero premiare il duro “perché ce ne è meno a livello mondiale e nazionale – rileva – mentre il frumento tenero è partito più fiacco con prezzi inferiori. Ora dipende da cosa succede nel resto dell’Europa quando si tireranno le somme della trebbiatura – conclude Dall’Amore – mente sui prezzi del duro incideranno molto i volumi del raccolto canadese”.
I cerealicoltori confermano che l’annata è stata ‘recuperata’ anche se con situazioni a macchia di leopardo, ma soprattutto non vedono buone prospettive nelle quotazioni, perennemente collocate su soglie minime di redditività “se non sotto la soglia dei costi di produzione – lamenta Marco Bergami, cerealicoltore e presidente di Cia Emilia Centro – .
Con lo scarso contenuto delle proteine abbiamo assistito un abbassamento dei requisiti merceologici richiesti dal mercato per i frumenti di questa annata per cui, nonostante si sia prodotto discretamente, siamo passati in una categoria inferiore che ha comportato un prezzo inferiore a parità di peso”.
Bergami rileva che ci sono state punte produttive anche di 80 quintali per ettaro di tenero, “in modo particolare per chi ha osservato le corrette tecniche colturali – sottolinea Bergami -. I produttori adesso hanno gli occhi puntati sui listini – osserva – perché quelli del grano duro non possono scendere sotto i 300 euro a tonnellata. Sull’orzo le quotazioni sono basse perché la produzione è stata elevata e c’è molto prodotto sul mercato – conclude Bergami – mentre auspichiamo che il prezzo del tenero tenda a stabilizzarsi e che lasci ai cerealicoltori un margine di guadagno, assottigliato tantissimo a causa del lievitare dei costi produttivi”.