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Riduzione fitofarmaci: la sostenibilità è a carico delle aziende agricole

All’incertezza sull’effettivo impatto della nuova PAC – Politica Agricola Comune sui bilanci delle aziende agricole si aggiunge quella sui limiti all’uso dei fitofarmaci decisa dall’Unione Europea. Gli agricoltori di Cia Agricoltori Italiani Imola attendono di conoscere la percentuale reale di riduzione richiesta alle aziende agricole entro il 2030: attualmente è del 50% in meno, ma all’Italia è stato chiesto un impegno ulteriore che porta la percentuale fino a – 62%.  In sede di Commissione agricoltura del Parlamento Europeo molti ministri dell’Agricoltura hanno giustamente messo in discussione una riduzione di questa portata, che arriverebbe come una mannaia sulla produttività e i redditi delle aziende e hanno chiesto un’altra valutazione dell’impatto che avrebbe sull’agricoltura europea. Questo stallo, però, pesa sulle scelte e sul futuro delle aziende, come spiega la presidente di Cia Imola, Luana Tampieri.

“Quando ho saputo che l’Europa chiedeva all’Italia una riduzione dei fitofarmaci del 62% entro il 2030 per limitare l’impatto sull’ambiente ho pensato che il provvedimento avrebbe affossato definitivamente il patrimonio straordinario di aziende agricole e produzioni del nostro Paese. Questo significa che agli agricoltori piace alzarsi la mattina, riempire un atomizzatore con un prodotto acquistato a prezzi esorbitanti e andare nei campi a trattare? La risposta è sicuramente e definitivamente negativa. L’opinione pubblica addita ancora l’agricoltura come responsabile dell’inquinamento atmosferico, ma noi siamo i primi a voler salvaguardare l’ambiente dove lavoriamo anche perché solo un folle vorrebbe inquinare l’aria che respira direttamente. Ma se ci tolgono oltre la metà delle molecole che abbiamo a disposizione, che sono già state fortemente ridotte negli ultimi anni, rischiamo concretamente di chiudere per mancanza di produzione. Peraltro – continua Tampieri – facciamo già un uso sostenibile degli agrofarmaci – che, ricordo, sono responsabili solo in minima parte dell’inquinamento atmosferico – grazie anche ai disciplinari di produzione e ai vincoli della nuova Pac.  Quello che chiediamo, invece, è più tempo per mettere a punto soluzioni alternative come la ricerca genetica per il miglioramento varietale su piante della stessa specie, quindi no OGM. Un tempo più che mai necessario visto che, mentre il mondo della scienza già lavora in questa direzione, a livello di Commissione europea non esiste ancora una regolamentazione che consenta l’applicazione in campo. Allo stesso modo occorrerebbe una maggiore diffusione delle tecniche di precision farming, che consentono di ottimizzare e ridurre l’utilizzo dei fitofarmaci, ma le aziende agricole hanno parchi macchine generalmente obsoleti perché agli agricoltori, spesso over 65, non conviene più fare investimenti.

Si tratta di una situazione che non potrà cambiare in pochi anni e per questo ribadisco che la sostenibilità non può essere a carico delle aziende agricole o a senso unico, quello della salvaguardia ambientale, ma deve consentire agli agricoltori di avere produttività, marginalità e dunque potenzialità di crescita e sviluppo. Auspico che nel 2030 – conclude la presidente di Cia Imola – vivremo in un ambiente meno inquinato, ma se da un lato avremo raggiunto un obiettivo importante, dall’altro diventerà difficile sfamare la popolazione mondiale perché le aziende, nel frattempo, avranno smesso di produrre il cibo. E mi chiedo, allora, come si chiedono tutti gli agricoltori: è questa la sostenibilità?”.

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